Intervento di Aldo Amoretti al seminario di UNAI

Pubblichiamo di seguito l’intero intervento, svolto in qualità di oratore, dal nostro Presidente Aldo Amoretti al Convegno dell’Unione Nazionale Amministratori d’Immobili 

Amoretti si è soffermato sulle problematiche della famiglia, sulle proposte dell’associazione e sull’Accordo sindacale del 7 aprile sugli Operatori d’aiuto.

Testo integrale

 

CONVEGNO UNAI (Unione Nazionale Amministratori Immobili)

Roma 18 giugno 2016

Aldo Amoretti  –   Presidente Associazione Professione in Famiglia.

Ho imparato cose che non conoscevo. Vi ringrazio anche per questo. Mi dedico ad una Associazione che si chiama Professione in Famiglia.

Il nome dell’Associazione è spiegato come segue in una scheda di presentazione: “la gestione di una famiglia è impegno rilevante, con le caratteristiche di una professione vera e propria, e prevalentemente sulle spalle di un familiare che viene definito “caregiver”. La professione si esplica anche qualora dipendenti come Colf o Badanti. Si tratta di un impegno di grande rilievo e fiducia. A queste persone non si consegnano solo le chiavi di casa, ma la cura di familiari. Spesso bimbi o anziani non autosufficienti. L’impegno è tanto più rilevante quando si fatica ad arrivare a fine mese facendo bastare risorse sempre più scarse.”

Ci dedichiamo a famiglie che combattono con il problema non autosufficienza. Non sto a commentare di che guaio si tratti, né l’inadeguatezza dell’intervento pubblico nel quale permane separatezza tra sanità e socio-assistenziale con archiviazione  di fatto della Legge 328 del 2000.

Va riconosciuto che il problema non è all’ordine del giorno della vita del paese. Non è affrontato dal Governo, non dai partiti, neppure dalle organizzazioni sindacali o di rappresentanza sociale.

Di fatto ha preso piede la soluzione badante, spesso immigrata, in troppi casi con rapporti irregolari o totalmente in nero. Parliamo di tre milioni di soggetti non autosufficienti dei quali  uno della tipologia Alzheimer e demenza senile e di quasi un milione e mezzo di badanti.

La nostra organizzazione opera su tre filoni: il servizio fatto di ricerca del personale e gestione del rapporto di lavoro; le politiche contrattuali e di regolamentazione dei rapporti di lavoro; le politiche economiche e sociali da praticare nei riguardi delle situazioni descritte.

Insieme alla vostra organizzazione abbiamo stipulato un Accordo nazionale che regolamenta i Co.Co.Co. nelle Cooperative o Agenzie che organizzano il servizio che abbiamo definito dell’operatore di aiuto. Qualcuno strilla per una presunta invasione di campo. Non abbiamo invaso un bel niente. Abbiamo risolto correttamente un problema del quale altri sembrano perfino negare l’esistenza.

La soluzione interviene in uno spicchio della situazione. Fa fronte a problemi  urgenti, temporanei, ad emergenze raramente  programmabili quali un ricovero o una dimissione ospedaliera, assenze improvvise di familiari.

Da questo passo può nascere una collaborazione suscettibile di sviluppi buoni per le famiglie-condomini, per chi lavora presso di loro, per gli amministratori, … con accrescimento di solidità e rappresentatività per le nostre organizzazioni.

Se pensiamo al condominio come una comunità che abbia a cuore la vivibilità e il benessere di tutti i condomini questo è un compito che ha da fare capo pure all’amministratore il quale potrebbe assumere una funzione di intermediatore tra i bisogni delle famiglie e un mercato delle prestazioni che ora è frammentato e affidato prevalentemente alla spontaneità dei soggetti. Nella informalità queste funzioni sono in parte già svolte. Si tratta di progettare forme di sistematizzazione.

 

L’ultimo commento Istat dice che la condizione delle famiglie è caratterizzata:

  • da una notevole percentuale di famiglie composte da “persone sole”: il 48,7% delle famiglie composte da persone sole sono anziani di 65 anni e più, di cui il 17,0% delle persone ha un’età compresa fra i 65 e i 74 anni; il 20,7% delle persone fra i 75 e gli 84 anni; l’11,1% persone con più di 85 anni
  • dalla condizione prevalente di “persona sola” dopo gli 84 anni: è così per il 52,2% delle persone con 85 anni e più
  • da un accentuato gap di genere nell’esperienza della solitudine in età avanzata:
    • fra gli uomini la percentuale di persone sole di 65 anni e più è del 30,0%, mentre fra le donne raggiunge il 62,5% (gap di genere di 32,5 punti percentuali);
    • Le donne vivono una straripante esperienza della vedovanza: l’83,5% delle persone vedove fra i 65 e gli 89 anni sono donne.

Da un documento sindacale ricaviamo che oltre un milione e 200mila anziani soli vivono in abitazioni in proprietà disponendo di quattro e più vani. A Roma “Nel 38,5% dei casi gli anziani vivono da soli in abitazioni di proprietà, queste sono mediamente superiori a 4 stanze (il 64% dei casi). Sono state costruite per il 12,1% prima del 1946 e per il 32,4% prima del 1961, quindi con una età media superiore ai 50 anni. Il 20,3% è privo di ascensore.

 

Si può notare un aumento dell’offerta di vendita della nuda proprietà e ci sono nuove norme sul prestito vitalizio ipotecario.  Sono soluzioni che ti danno un pacco di soldi o un arrotondamento della pensione, ma nella vecchia casa puoi restare prigioniero al quinto piano senza ascensore.

Andrebbe organizzata l’offerta di una gamma di soluzioni: lo scambio di una abitazione inutilmente grande ma inadeguata con una piccola, ma attrezzata; un vitalizio piuttosto che un pacco di soldi magari abbinato ad una polizza assicurativa che ti paga la badante quando arriva la non autosufficienza.

Naturalmente tali soluzioni non possono nascere spontaneamente dal basso, ma hanno bisogno di una volontà intelligente organizzata.

 

Se  ragioniamo sulle possibilità di collaborazione  tra le nostre organizzazioni si possono individuare diversi filoni.

Non hanno finora avuto successo i tentativi relativi a tagesmutter o colf  e badanti di condominio. Non tenevano conto delle difficoltà concrete. Noi dobbiamo affrontarle nella loro effettività anche muovendo dal considerare il fenomeno crescente costituito dalla solitudine di milioni di persone anziane. A Roma si è perfino individuato una tipologia che è chiamata “barbonismo domestico” e si dice perfino “barboni ricchi”. Persone con disponibilità di appartamenti anche grandi, pensioni o redditi pure sufficienti, ma confinate ad una solitudine deprimente.

Proviamo ad immaginare non solo husing sociale del quale si fanno molte chiacchiere, ma pure soluzioni tipo casa famiglia o comunità alloggio nelle quali possano convivere sei-nove anziani autosufficienti accuditi da due-tre badanti. I costi sarebbero di molto inferiori alla soluzione tradizionale una badante-un anziano e permetterebbero una ridestinazione utile e razionale del patrimonio abitativo esistente ed al tempo stesso sovradimensionato e inadeguato. Sarebbe un miglioramento anche per le stesse badanti che uscirebbero dalla  prigionia della convivenza a tempo pieno con una famiglia o una persona.

Naturalmente tali soluzioni non possono nascere spontaneamente dal basso, ma hanno bisogno di una volontà intelligente organizzata. Una volontà che ha da concretizzarsi anche in soluzioni contrattuali giuste per chi ha da lavorare in queste situazioni.

Penso che faremo bene a mettere con i piedi per terrà il ragionamento sulle nostre possibilità di collaborazione.

 

Non è vero che  sussista una volontà di combattere il lavoro nero. In realtà prevale di fatto un’opinione secondo la quale se le famiglie si arrangiano con la badante in nero va bene così. L’irregolarità non è considerata una malattia, ma una medicina.

A fine agosto Renzi aveva parlato di un “piano famiglia”; Alfano era stato più completo: “spingeremo al massimo per un “familiy act” con detrazioni e deduzioni per sostegno alla natalità, all’accudimento dei figli, all’assistenza per parenti anziani e malati”. Non ci si riferiva alla legge di stabilità che in realtà ha previsto interventi solo marginali. Nel recente incontro Governo-Sindacati non si è affrontato questo tema, neppure per dire che se ne parlerà più avanti.+

 

Mi sono persuaso che per la non autosufficienza la via giusta sia quella della soluzione tedesca con una sorta di assicurazione obbligatoria. Se non si comincia a pagare da giovani i costi a fine carriera, per i soggetti, si fanno insostenibili. Anche al tri Paesi come la Francia hanno adottato soluzioni intelligenti come CESU (Chèque Emploi Service Universelle). Invece della nostra indennità di accompagnamento (512 euro uguali per tutti) un Buono diversificato in base alla gravità della condizione e alla situazione economica destinato all’acquisto di prestazioni.

Abbiamo un po’ di idee alcune praticabili anche in tempi brevi che possono dare luogo ad un sostegno apprezzabile alle famiglie:

  • Un Contratto di lavoro che sia di semplice applicazione e non generatore di litigiosità e vertenze alla fine del rapporto. E un sistema di bilateralità schiodato dalle attuali condizioni di quasi inutilità. Due titoli per esemplificare le nostre idee di innovazione contrattuale: la paga oraria conglobata per la Colf a ore; il part time per la badante.
  • Deduzione dal reddito di tutta la spesa per badante con le necessarie rettifiche affinché non ci guadagnino i redditi alti. Ovvio che i ragionieri strillano che non ci sono i soldi. Nostra opinione è che l’offerta di un vantaggio fiscale apprezzabile potrebbe indurre 350-400mila famiglie a regolarizzare rapporti sommersi. In un documento del Censis si stima “il risultato finale degli effetti diretti e indiretti pari a un costo per lo Stato di 72 milioni di euro” (ricerca fatta per Assindatcolf). Il Forum del terzo settore è meno ottimista e stima “un maggior esborso pubblico di circa 250 milioni di euro annui. E prevede un aumento “al calcolo del PIL di almeno 0,30-0,40 punti percentuali, e al calcolo degli occupati per circa 2 punti percentuali.” Una tale spesa sarebbe circa il 10% di quanto in discussione per dare gli 80 euro ai pensionati al minimo e ancor meno rispetto allo uno sconto “Dai 200 ai 400 euro al mese di tasse per circa 6 milioni di italiani” del ceto medio come propone il Sottosegretario Zanetti. L’On. Zanetti è tornato sull’argomento con una intervista a Panorama in edicola questa settimana.
  • Servizio civile obbligatorio. Potrebbero essere sei mesi dei quali due di formazione e quattro di lavoro anche in aiuto (4-5 ore al giorno) a famiglie con soggetti non autosufficienti. Per le famiglie sarebbe un grande sollievo e per i giovani interessati una grande esperienza educativa. Anche in questo caso c’è il problema di chi paga. In parte con una tassazione a carico di quelli che non lo vogliono fare.
  • Valorizzazione del patrimonio abitativo degli anziani. Come già detto occorre attrezzare una gamma di offerte compreso il conferimento del patrimonio a un soggetto che ti assicuri adeguata assistenza per tutto il tempo necessario. Il risparmiato per farti un patrimonio immobiliare sarebbe assimilato a quello per una polizza LTC (Long Term Care) ed implica anche liberare le persone anziane dal “dovere” di lasciare i mattoni in eredità.
  • Occupiamoci anche di due milioni di persone (soprattutto donne), familiari di persone non autosufficienti che se ne prendono cura direttamente. Ci siamo messi a chiamarle caregiver. Ci sono almeno due misure che si potrebbero adottare: per quelle che hanno un lavoro riconoscere un diritto ad aspettativa non retribuita e senza alcun onere per l’azienda; per tutte la copertura figurativa ai fini pensionistici del periodo di cura.
  • C’è un problema di formazione sia per badanti che per  caregiver  Adesso siamo lontani anni luce dalla bisogna. Si consideri che un’assistente formata può anche evitare le piaghe da decubito per gli allettati. Ci abbiamo ragionato anche con la FIMMG per elaborare un profilo professionale della badante competente di modo che sia uno in tutta Italia con piani formativi ragionevoli e praticabili invece che l’attuale jungla fai da te di ogni Regione. Una formazione del genere avrebbe l’effetto di poter assicurare rioccupazione dei soggetti a fine “missione” anche con prospettive di evoluzione professionale. Unai ha una esperienza consolidata nel campo della formazione; la nostra associazione è alle prime armi; in giro si ricominciano a vedere bandi e stanziamenti pubblici a questo scopo; anche su questo filone si tratta di analizzare le possibilità di collaborazione.

 

Si  è molto diffusa la costituzione  di Fondi sanitari integrativi scaturiti dai Contratti nazionali di lavoro.

Sono persuaso che i Fondi sanitari possano avere un ruolo  sul tema accennato; taluni esempi ne sono dimostrazione. Le esperienze esistenti vanno analizzate anche per non prendere abbagli. Le risorse destinate non possono essere marginali. Per ora la grande parte dei Fondi proteggono chi è titolare di un rapporto di lavoro; ne sono fuori familiari e pensionati. La legge prevede che il 20% della spesa sia destinato a Long Term Care (LTC) e a cure odontoiatriche. Il 20% è andato tutto per i denti. Si potrebbe adottare una modifica: il 20 diventa 30% con almeno un 10% a favore di ognuno dei due filoni.

Va considerato che si va diffondendo una tipologia di welfare aziendale che aggiunge anche prestazioni sanitarie ulteriori rispetto a quelle fornite dai Fondi contrattuali e inoltre che  si  va aprendo in diverse  situazioni una discussione intorno all’idea di welfare territoriale (o di comunità) come tema per la contrattazione da svolgere a questo livello. Nel “Patto per il lavoro” firmato il 4 agosto in Emilia-Romagna dalla Regione con tutte le parti sociali e non solo c’è una chiara indicazione in questo senso.

C’è quindi un problema di mettere ordine al traffico. Mi sembra improbabile che un’azienda possa partecipare a tre forme sanità integrativa.

Le nostre organizzazioni possono candidarsi a svolgere un ruolo positivo su questo terreno del welfare integrativo. Mi sembra giusto che da oggi si prenda impegno di ragionarci sopra anche come sviluppo logico del nostro Accordo del 7 aprile.

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